Grillo e Sartori: un’inedita accoppiata contro i diritti dei migranti e delle minoranze

Beppe Grillo, il comico che pretende di far politica, talvolta con esiti comici, e Giovanni Sartori, l’eminente politologo ossessionato da immigrati e musulmani: è l’insolita coppia assimilata dall’ostilità per la prospettiva, peraltro finora assai vaga, di una riforma dell’anacronistica legge italiana sulla cittadinanza che considera stranieri, almeno fino ai diciotto anni d’età, perfino le persone nate e/o cresciute in Italia da genitori stranieri.

Oggi che si è tornati a discutere in termini pacati – non sappiamo quanto effimeri – di questa stortura; oggi che, grazie alla campagna “L’Italia sono anch’io”, promossa da molte espressioni della società civile, si raccolgono con successo le firme in calce a due leggi d’iniziativa popolare – per la riforma della cittadinanza e per il diritto di voto –, ecco che, puntuali come la morte, i due tornano a colpire:
Grillo nel suo blog alcuni giorni fa; Sartori nell’editoriale del 26 gennaio sul Corriere della Sera.

I due sono molto diversi, certo, per formazione come per biografia. Eppure c’è qualcosa ad accomunarli. Anzitutto l’impulso a intervenire ogni volta che in Italia si profili qualche sia pur timida svolta o apertura rispetto ai diritti dei migranti e delle minoranze; o anche quando si tratti di lanciare o incrementare campagne allarmistiche. Per fare l’esempio-principe, che ho ricordato altre volte, nel lontano 2000 fu un volumetto del politologo, intitolato Multiculturalismo, pluralismo culturale ed estranei e pubblicato in agosto (si noti bene), a inaugurare una campagna anti-musulmana che vide schierarsi fra i primi l’arcivescovo di Bologna, Giacomo Biffi. La campagna creò il clima propizio all’aggressione leghista-squadrista di Lodi: la ‘profanazione’ con orina di maiale del terreno dove doveva sorgere una moschea, cui parteciparono anche berlusconiani e neonazisti.

Ad assimilare il comico e il politologo sembra esserci anche una sorta di sindrome ossessiva-compulsiva che li spinge a mettere a tacere il ben dell’intelletto ogni volta che prendono la parola su immigrati, rom, Islam e temi affini. L’obnubilamento temporaneo fa emergere dal profondo delle viscere cliché e luoghi comuni da bar dello sport: l’uno (Sartori) li propone come fossero perle di saggezza e cultura; l’altro (Grillo) con stile sguaiato da tribuno di provincia.

Nell’editoriale citato, Sartori avanza una proposta che ha l’ardire di definire “una soluzione di buon senso”: la concessione “della residenza permanente trasferibile ai figli, ma pur sempre revocabile”. A quali migranti, a quali condizioni?, vi chiederete. Ma è ovvio: a “chiunque entri in un Paese legalmente, con le carte in regola e un posto di lavoro (…) assicurato (…), promesso o credibile”. Perché, si sa, in Italia come in altri paesi europei, si può entrare legalmente, con le carte in regola e con tanto di contratto di lavoro in tasca. All’eminente politologo si potrebbe suggerire: prima di avventurarsi su un terreno che forse le è estraneo per formazione e informazione, legga o rilegga almeno la normativa italiana sull’immigrazione.

Quanto al piano della concezione dei diritti, la sua proposta rivela – e non è la prima volta – una certa simpatia per i sistemi di segregazione o almeno di stratificazione gerarchica della società. Del resto fu lui, in quel libretto del 2000, a rinverdire la categoria nazionalsocialista dei “radicalmente inintegrabili”, riferita alle persone di religione o solo di cultura musulmana. E oggi propone, in sostanza, un sistema di status e diritti separati: da una parte lo status di cittadino con pienezza dei diritti (sociali, civili, politici); dall’altra, quello dei residenti-a vita-revocabili, senza diritto di voto, è ovvio. Perché mai dovrebbe interessare a questa gente? L’unica ragione che spiegherebbe il loro desiderio di votare, arguisce Sartori, sarebbe “che i residenti in questione vogliano condizionare e controllare un Paese creando il loro partito (islamico o altro)”. Non c’è che dire: il politologo ci offre una bella lezione sul senso della democrazia e della rappresentanza politica.

Ma c’è qualcosa di ancor più preoccupante nella “soluzione di buon senso” proposta da Sartori: che ne sia consapevole o no, egli sembra riproporre la dottrina dell’ereditarietà di status e cittadinanza, fondata sul presupposto che gli ‘altri’ – soprattutto quelli che gli sono antipatici, in primis gli “islamici” – siano tali per essenza se non per natura. La concessione della residenza permanente ma revocabile, scrive infatti, è “trasferibile ai figli”. Quindi anche a quelli – possiamo dedurre logicamente – nati, cresciuti ed educati in Italia. Così il cerchio si chiuderebbe: i “radicalmente inintegrabili” sarebbero infine segregati in una categoria assimilabile alla casta oppure a quella dei meteci della Grecia antica.

Infine. E’ da più di un decennio che vado analizzando, in articoli e saggi, il ‘razzismo democratico’ che s’incarna in figure quali Giovanni Sartori. Ed è almeno dal 2006 che scrivo per ironizzare sul razzismo di Grillo, cioè da quando ci propose una delle sue migliori boutade, tipica della meta-comicità che lo caratterizza. Si era al tempo dell’ultimo governo Prodi e il ministro Ferrero aveva appena enunciato un pensiero semplice, quasi banale: essendo una tendenza strutturale, l’immigrazione va governata per mezzo di una strategia razionale e articolata, che anzitutto faciliti gli ingressi legali. Il comico di secondo grado non ci vide più e rispose a muso duro. Se emigrassero verso l’Italia tutti “i ragazzi” in cerca di lavoro, “quanti Cpt sarebbero necessari per ospitarli? La casa del ministro è abbastanza capiente?”. Un capolavoro d’ignoranza: il classico “Se le piacciono tanto, se li porti a casa sua”, reinterpretato secondo il presupposto delirante che i lager di Stato siano dimore ospitali, degne di quella di un ministro. Seguirono le invettive contro la “bomba a tempo” dei rom romeni, accompagnate da inni patriottici: “Una volta i confini della Patria erano sacri”. Dunque, a mia memoria, sono almeno sei anni che il meta-comico si esercita nel razzismo da bar dello sport. Come mai, allora, tante brave persone, tanti suoi seguaci scoprono solo adesso il vizietto del loro idolo?

(28 gennaio 2012)

 

fonte: https://archivio.micromega.net/grillo-e-sartori-uninedita-accoppiata-contro-i-diritti-dei-migranti-e-delle-minoranze/