Il razzismo-sessismo come idioma culturale. Da Calderoli a Sartori, passando per la sinistra

E’ da vent’anni che lo andiamo scrivendo, in saggi, rapporti e articoli: il razzismo, spesso coniugato con misoginia e sessismo, è tuttora parte profonda dell’immaginario, dell’idioma culturale, dell’ideologia, spontanea e non, di buona parte del nostro infelice Paese. E non parliamo del razzismo mascherato – differenzialista o culturalista –, ma di quello “classico”, basato sulla credenza nella gerarchia e ineguaglianza tra le “razze”. Le recenti sortite dei Valandro, Calderoli e leghisti vari, ma anche di soggetti ben lontani, almeno politicamente, dalla Lega Nord, hanno confermato fino a qual punto i topoi dell’ideologia razzista e sessista alberghino fra il ceto politico italiano e, quel che forse è peggio, siano ritenuti pronunciabili in pubblico.

Come si sa, non vi è niente di più classicamente razzista dell’equiparazione del “negro” alla scimmia (e non già, come diremo, perché i primati siano da disprezzare). Eppure l’indegno vicepresidente del Senato, non ha esitato un attimo a eccitare il suo uditorio con quella battutaccia da fisiognomica per imbecilli. E i suoi critici che in rete si sono divertiti a rovesciarla col raffigurare Calderoli in sembianze scimmiesche hanno seguito la sua stessa logica, dileggiando il dentista di Bergamo e al tempo stesso gli oranghi. I quali – lo sanno anche i bambini – con i bonobo, gli scimpanzé e i gorilla, appartengono alla medesima famiglia del genere homo (con gli oranghi condividiamo il 95% del patrimonio genetico, con gli scimpanzé addirittura il 98,5%).

In realtà, le metafore e i dispositivi che de-umanizzano gli altri e il genere femminile si basano sulla preventiva bestializzazione degli animali: se l’umano può essere inferiorizzato e degradato mediante metafore zoologiche, e sovente trattato al pari degli animali, è perché a questi ultimi si sono attribuiti i caratteri della selvatichezza, istintualità, ferocia, insensibilità, stolidità e così via.

Ancor più razzista-sessista è ciò che ha scritto l’omone di Cavarzere che osa esibire l’effigie tatuata del Che. L’ex consigliere comunale, espulso da Sel, al secolo Angelo Romano Garbin, ha riproposto il genere d’infamia verbale che alla ex leghista Dolores Valandro è costata la condanna a un anno e un mese di detenzione e l’interdizione per tre anni dai pubblici uffici. Garbin ha fatto proprio, infatti, uno dei motivi più classici dell’immaginario coloniale e razzista: l’attribuzione ai “negri” di una potenza o sfrenatezza sessuale mostruose, da cui discenderebbe la loro naturale inclinazione allo stupro. Di suo ci ha aggiunto l’immagine perversa della donna in balia di “una ventina di negri assatanati”: un fantasma sadico e voyeuristico che rimanda all’immaginario del pene come arma per punire e dominare la parte avversa, in tal caso non “etnica”, come nella ex Jugoslavia, ma politica. Per completare l’opera, il gentiluomo settantenne ha aggiunto un tocco di stile leghista scrivendo quella frase in dialetto.

Tutto questo la dice lunga sul profilo psicologico, oltre che culturale e ideologico, dell’ex militante di Sel. Che costui fosse considerato figura “carismatica” e che avesse ruoli di responsabilità non sono cose che si cancellano con un’espulsione e qualche replica pungente all’indirizzo dei leghisti. S’imporrebbe, invece, una riflessione profonda sul degrado culturale e ideologico cui la stessa sinistra non è riuscita a sottrarsi; sulla sua permeabilità ai temi di stampo xenofobico agitati dalla destra; sulla profondità con cui la talpa leghista ha scavato al di là dei suoi confini, rendendo dicibile coram populo ciò che un tempo era in qualche misura interdetto, sebbene covasse nel profondo delle viscere nazionali, mai depurate dai retaggi del colonialismo e del fascismo.

Che l’ideologia leghista abbia concorso a normalizzare le pratiche discorsive razziste-sessiste è dimostrato da una voce che, pretendendo d’essere prestigiosa, non perde occasione per esternare la sua islamofobia compulsiva e per esprimersi rozzamente contro qualsiasi progetto riguardi i diritti delle persone d’origine immigrata. Ci riferiamo a Giovanni Sartori, il quale appena tre giorni dopo l’insolenza razzista di Calderoli prende la parola sul Corriere della Sera col consueto lessico improprio e superficiale, non consono a uno studioso. E non già per stigmatizzare il vicepresidente del Senato e solidarizzare con Kyenge, come spetterebbe a un anziano professore che vuole insegnarci i fondamenti della democrazia liberale, bensì per svillaneggiare la stessa ministra dell’Integrazione e altre due donne autorevoli, Laura Boldrini e Livia Turco: tutte incompetenti e raccomandate, a suo parere.

L’ultima è in più bollata come “pasionaria” di un “terzomondismo dogmatico e pressoché fanatico”: affermazione a dir poco ardita, se si considera che Turco è autrice con Napolitano della legge, tutt’altro che “terzomondista”, che fra l’altro ha istituito la detenzione amministrativa per i migranti. Quanto a Kyenge, per il professore, che evidentemente preferisce i dentisti agli oculisti, ha anche la grave colpa di non aver ancora letto, malgrado le sue reiterate sollecitazioni, ciò che, esagerando, egli si ostina a chiamare libro: una cinquantina di cartelle pubblicate nel lontano 2000 col titolo Multiculturalismo, pluralismo culturale ed estranei, in cui in sostanza rinverdisce la tesi (invero di matrice nazionalsocialista) della “alterità radicale non integrabile”. Che egli identifica, certo, non nella figura dell’ebreo, ma in quella di un altro nemico ontologico: l’africano-arabo-musulmano (prima o poi bisognerebbe spiegare a questo fine pensatore che i tre termini non sono necessariamente coincidenti).

Infine, che il maggiore quotidiano italiano continui ad affidare la propria linea, anche in tema d’immigrazione e cittadinanza, alle sbavature sartoriane, anche questo è un piccolo segno del tragico declino civile, politico e culturale del nostro Paese.

(24 luglio 2013)

 

fonte: https://archivio.micromega.net/il-razzismo-sessismo-come-idioma-culturale-da-calderoli-a-sartori-passando-per-la-sinistra/