Non per quel che serve alla patria

Non appena insediata, la nuova presidente del Consiglio dei ministri ha mostrato apertamente quanto fascistoidi saranno l’ispirazione e l’operato del governo più di destra nella storia della Repubblica italiana.

È quasi pleonastico rimarcare che uno dei bersagli del nuovo governo saranno le persone immigrate e rifugiate, anche le più “rispettabili”: basta dire che durante le repliche alla Camera dei deputati per il voto di fiducia al suo governo, Giorgia Meloni si è rivolta con il “tu” all’unico deputato “di colore” (come lei direbbe), cioè Aboubakar Soumahoro di Sinistra italiana e Verdi, oltre ad averne anche sbagliato il nome.

Della vittoria impensabile della destra estrema, la sinistra, soprattutto quella “moderata”, ha una notevole responsabilità per molte ragioni: non ultima quella di aver trascurato, minimizzato, banalizzato l’importanza decisiva della lotta contro il razzismo e per l’integrazione e i diritti delle persone immigrate e rifugiate. E ciò perfino da parte di taluni/e studiosi/e ed intellettuali di sinistra, che sovente criticano, sì, le più infami politiche sull’immigrazione e l’asilo, ma in nome della ragione utilitaria e secondo una visione strumentale: l’accoglienza di persone immigrate e rifugiate servirebbe a contrastare il calo demografico, quindi il declino dell’Italia, e a salvare settori fondamentali della nostra economia che si reggono sul lavoro, spesso servile, della manodopera immigrata.

Tali argomentazioni – che, in apparenza realistiche, vorrebbero essere convincenti rispetto a chi teme “l’invasione”– in realtà, sia pur involontariamente, rischiano di confermare lo status quo dello sfruttamento estremo nonché di evocare lo stereotipo di donne immigrate e rifugiate quali “incubatrici per la patria” altrui. Anche per questo occorrerebbe favorire in ogni modo la nascita di un movimento, indipendente e auto-organizzato, degli/delle attivisti/e immigrati/e e rifugiati/e.  

Già in mio un saggio del 2009 (Regole e roghi. Metamorfosi del razzismo, Dedalo p. 216) con una certa ironia avevo definito razzismo democratico o rispettabile quel razzismo subdolo e ipocrita che sorge dalle viscere dell’area un tempo detta di sinistra. E ciò anche per distinguerlo sia dal razzismo istituzionale sia da quello “spontaneo”, dichiarato e disinibito.    

È del tutto evidente che, soprattutto con il governo Conte I, detto fasciostellato, abbia raggiunto il culmine la dialettica perversa fra razzismo istituzionale e razzismo “popolare”, della quale scrivo da molti anni. E ciò non solo a causa di una produzione legislativa essa stessa d’impronta apertamente sicuritaria e discriminatoria, la quale non fa che titillare, legittimare, alimentare il senso comune intollerante e i diffusi sentimenti di ostilità verso gli altri e le altre. Ma anche grazie al ricorso a una strategia propagandistica, ben congegnata e ben pagata, che è divenuta ormai, come nei regimi totalitari, strumento di governo e, al tempo stesso, di manipolazione delle masse: le due dimensioni vanno facendosi sempre più intercambiabili o addirittura coincidenti, insieme con la costante violazione del principio democratico della separazione dei poteri.

E’ anche a causa di questa dialettica che gli atti di razzismo “spontaneo”, per così dire, vanno moltiplicandosi secondo il ben noto meccanismo per cui frustrazione, risentimento e rancore (non poche volte effetto delle condizioni sociali vissute) sono indirizzati verso il capro espiatorio di turno, di solito il più disprezzato, vulnerabile e alterizzato. Il che ha favorito la crescita del razzismo anche in aree tradizionalmente “rosse”.

Nondimeno la china intrapresa, pericolosa per la sopravvivenza della stessa democrazia, è anche l’esito – che oggi sarà sicuramente spinto all’estremo dal governo Meloni – dell’operato di governi passati, non solo dei più recenti e non solo di centro-destra. Ricordo che fu nel corso del primo governo Prodi che, il 28 marzo del 1997, si consumò la strage di un centinaio di profughi albanesi della Katër i Radës, in gran parte donne e bambini, tutti/e in fuga dalla guerra civile. Com’è noto, la piccola motovedetta, strapiena di profughi/e, fu speronata nel canale d’Otranto dalla corvetta Sibilla della Marina militare che, per ordini superiori, doveva impedirne l’approdo. Il governo, infatti, col ruolo decisivo di Giorgio Napolitano, aveva decretato, d’accordo con l’Albania, un blocco navale costituito da una barriera di navi da guerra: severamente criticato dall’unhcr come illegale.

Durante il medesimo governo Prodi fu approvata la legge detta Turco-Napolitano, la n. 40 del 6 marzo 1998, la quale, fra l’altro, per la prima volta istituiva, con i Centri di permanenza temporanea e assistenza, la detenzione amministrativa quale strumento ordinario e non convalidato dall’autorità giudiziaria: riservata a persone immigrate “irregolari”, sottoposte a provvedimenti di espulsione o di rimpatrio coatto. Appena inaugurati, i cpta (di solito detti cpt e oggi cie) provocarono ben otto morti, tanta era l’assistenza di cui godevano le persone “trattenute”.

Prevale, infatti, nella coscienza collettiva come fra tanti locutori mediatici (anche quelli che si reputano antirazzisti), la tendenza a rimuovere gli antecedenti, lo sviluppo, la ciclicità e comunque la lunga durata del neo-razzismo all’italiana.

Non è certo la prima volta che nel nostro Paese il razzismo verbale più rozzamente biologista si esprime in maniera esplicita e cruda. Per non andare troppo indietro nel tempo, si può citare l’anno 2013 che vide uno sconcertante ritorno della “razza”, evocata da topoi simili a quelli che potevano trovarsi nelle pubblicazioni popolari al servizio della propaganda fascista: anzitutto il motivo ricorrenteche assimila i “negri” a scimmie, col tipico corollario di banane.

Nel corso di quell’anno, dileggi e insulti di tal genere s’intensificarono sempre più, prendendo a bersaglio calciatori d’origine subsahariana o d’altra provenienza straniera, oppure “solo” meridionali; ma soprattutto l’allora ministra per l’Integrazione, Cécile Kyenge, fatta oggetto d’incessanti attacchi razzistici. Uno dei più gravi, anche per la carica istituzionale ricoperta dal locutore, fu quello pronunciato da Roberto Calderoli che, da vicepresidente del Senato qual era, osò assimilare la ministra a un orango.

Un ventennio dopo la Turco-Napolitano, è stato ugualmente un governo detto di centro-sinistra a varare le due leggi dell’aprile 2017, entrambe accomunate da un’ideologia sicuritaria e repressiva: la 46, detta Minniti-Orlando (“Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale”) e la 48, detta Minniti (“Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”). Sono questi due provvedimenti legislativi ad aver costituito il modello per la legge n. 132, del 1° dicembre 2018, che, fermamente voluta da Salvini, sovrappone, e non per caso, i temi della sicurezza e dell’immigrazione, esasperando il carattere repressivo-razzista-sicuritario, a tal punto da configurarsi come nettamente anticostituzionale, secondo il parere di non pochi giuristi.

Ed è nel corso dello stesso governo Gentiloni che, soprattutto per volontà del ministro dell’Interno, vennero stretti accordi con le bande criminali libiche e s’inaugurò “Deserto rosso”, operazione militare in Niger, finalizzata a bloccare l’afflusso dei profughi dal Sud verso le coste della Libia. Durante quella stessa legislatura s’intensificò il processo di delegittimazione, anche governativa, delle ong: il Codice di condotta adottato da Minniti, con le sue contromisure e sanzioni, di fatto ha impedito loro le operazioni di ricerca e soccorso: passate formalmente alla famigerata Guardia costiera libica.

Quanto alle aggressioni razziste, fino all’omicidio e alla strage, contro persone immigrate, rifugiate e/o alterizzate, esse costellano inesorabilmente almeno l’ultimo quarantennio della storia italiana. Era la notte fra il 21 e il 22 maggio del 1979 quando a Roma Ahmed Ali Giama, cittadino somalo di trentacinque anni – ex studente in legge presso l’Università di Kiev, poi rifugiato politico fuggito dalla feroce dittatura di Mohammed Siad Barre – veniva bruciato vivo da quattro giovani italiani, mentre dormiva sotto il portico di via della Pace, nei pressi di piazza Navona. Nonostante le testimonianze dettagliate di sette persone, uscite da un ristorante vicino, i quattro saranno assolti in Cassazione.

Per citare un altro caso agghiacciante, il 9 luglio 1985, a Udine, il sedicenne Giacomo Valent fu ucciso con sessantatré coltellate da due suoi compagni di liceo, di quattordici e sedici anni, apertamente neonazisti. Figlio di un funzionario d’ambasciata e di una principessa somala, Giacomo veniva costantemente dileggiato come “sporco negro” per i capelli ricci e il colore ambrato della pelle, ma anche per le sue idee di sinistra. Questo e altri casi dimostrano come la discriminazione e il razzismo (fino all’omicidio) non risparmino neppure le persone perfettamente integrate.

Più noto è l’omicidio di Jerry Masslo, profugo politico sudafricano, costretto, per sopravvivere, a lavorare in condizioni quasi-schiavili alla raccolta di pomodori nelle campagne di Villa Literno. A questo assassinio, compiuto il 20 settembre 1989 da una banda di giovani rapinatori, per di più razzisti, seguì il primo sciopero di migranti contro il caporalato e una manifestazione nazionale che vide la partecipazione di almeno duecentomila persone e inaugurò il movimento antirazzista italiano.

Tutt’oggi si continua pigramente a parlare di “guerra tra poveri”: allorché la dialettica perversa fra razzismo istituzionale e razzismo “popolare”, spesso istigato da formazioni neofasciste e/o dalla Lega Nord, sembra aver raggiunto il culmine

Per non dire della tendenza a ricondurre un fenomeno complesso com’è il razzismo a “odio” o “paura” e della reiterazione di slogan impolitici e moraleggianti quale l’ossessivo “Restiamo umani”: tanto antropocentrico quanto impolitico, come ho scritto più volte.

C’è da auspicare che a sinistra si comprenda l’assoluta centralità della lotta contro il razzismo e per i diritti delle persone migranti e rifugiate, praticando un antirazzismo solidale e radicale, con ciò ponendosi decisamente all’opposizione del governo più di destra della storia repubblicana.

fonte: https://comune-info.net/non-per-quel-che-serve-alla-patria/