Dino Frisullo, militante anomalo

Uno dei tanti, grandi meriti di Dino è stato quello di aver colto perfettamente che il senso della “grande storia” può essere rintracciato nelle “piccole storie” di dominazione, oppressione, discriminazione di una popolazione, di una minoranza, di un gruppo, ma anche nell’infelicità e nei drammi di ciascuna/o dei suoi membri, di ogni profuga/o, di ogni migrante, di ogni oppressa/o: la vicenda “minore” di un profugo morto soffocato nella stiva di una nave può dirci del mondo attuale più di un freddo saggio di geopolitica. Conferire un senso e un valore politico generale a queste “piccole storie” equivale, insomma, a cogliere il significato più profondo del presente e dei processi di globalizzazione.  

Occuparsi, come faceva Dino, di un gruppo di migranti bangladeshi, di una collettività di richiedenti-asilo, di una minoranza oppressa quale quella curda, di un gruppo di rom deportati/e, assumendone per intero i bisogni esistenziali oltre che politici, leggendone la “piccole storie” come indizi ed effetti pregnanti della “grande storia”: questo era per lui l’unico modo possibile per praticare sapere critico e impegno sociale e politico adeguati al presente, e scevri da politicismi e fumisterie ideologiche.

La sua propensione a guardare il mondo con gli occhi degli altri e delle altre era il frutto, razionale ma anche emotivo e sentimentale, di un impegno che non aveva espunto la pietas e che si nutriva di rigore morale, di sensibilità e di conoscenza: un impegno totalizzante e radicale, generoso fino alla dissipazione di sé, intransigente fino all’ostinazione; insomma, l’intera esistenza come impegno.

Un militante anomalo era Dino, assai diverso dal modello che si era imposto nel corso degli anni Settanta: perché all’ostinazione, alla caparbietà, inflessibile e talvolta perfino irritante, cui nessuno riusciva a sfuggire (essere svegliati nel cuore della notte da lui che t’investiva di un problema urgente era assai consueto), sapeva unire dolcezza e mitezza, perché non conosceva settarismi e ideologismi, perché in nessun modo era irreggimentabile, da nessun comitato centrale, fosse pure quello della più aperta delle formazioni politiche della nuova sinistra, perché era  irriverente non solo verso i potenti ma anche verso ogni potere, fosse pure quello d’una leadership di movimento. Tutto questo si coniugava con una specie d’ironica leggerezza nel modo di proporsi al prossimo: il suo stile era fatto anche di seduzione e mitezza disarmanti, che spesso riuscivano ad arrestare fiumi e spostare montagne.  

Grazie a lui, soprattutto, insieme e con molte/i altre/i fondammo la Rete antirazzista, un’esperienza breve e intensa di raccordo fra associazioni antirazziste in tutta Italia che durò dal 1994 al 1997. Un’esperienza che lui e io (ne fummo i portavoce) ma anche altre/i compagne e compagni (ma non tutte/i, purtroppo) non avremmo mai smesso di rimpiangere. Poiché fu un antirazzismo còlto e radicale, che anticipò di molti anni analisi, temi e rivendicazioni che oggi qualcuno crede siano inediti: le persone migranti e profughe come soggetti esemplari del nostro tempo, il tema della cittadinanza europea di residenza, la battaglia per il diritto di voto e la civilizzazione delle competenze sul soggiorno, la critica ai lager di Stato.

Si era al tempo del primo “governo amico” e la voce fuori dal coro della Rete antirazzista sarà presto messa a tacere.

Ciò che può dire chi lo ha frequentato e con lui ha vissuto fertili stagioni di lotta è che la sua assenza splende oggi accecante come un inesorabile sole senza tramonto, per parafrasare una poesia di Jorge Luis Borges.

Oggi, di fronte allo stillicidio quotidiano di esodi che hanno come epilogo la morte in mare di centinaia di profughe/i o il forzato ritorno alle tragedie e alle persecuzioni da cui hanno tentato la fuga, ci sorprendiamo a pensare: certo, il frenetico attivismo di Dino non riuscirebbe, da solo, ad aver ragione della nostra debolezza politica e della rozza e feroce arroganza degli imprenditori politici del razzismo.

Eppure quanto ci mancano e quanto ci sarebbero preziosi, proprio in questa fase, i suoi dieci comunicati al giorno che arrivavano in ogni redazione e in ogni angolo d’Italia, la sua inflessibile e irritante caparbietà cui nessuno riusciva a sfuggire, il suo ostinato lavoro da vecchia talpa che scova, porta alla luce e denuncia ingiustizie e crimini contro i dannati della terra, la sua capacità di opporre dati, cifre, fatti alle pataccate degli specialisti della xenofobia e del razzismo.

PREMIO DINO FRISULLO 2023

A venti anni dalla perdita di Dino Frisullo, il premio intitolato al suo nome va a chi ha proseguito il suo impegno e la sua dedizione in favore degli ultimi della terra con azioni di soccorso in mare e a terra,e di resistenza a leggi ingiuste che tendono a criminalizzare le azioni di solidarietà.

Così viene premiato il coraggio civile e l’umanità di Vincenzo Luciano e Antonio Grazioso che all’alba del 26 febbraio scorso a Steccato di Cutro non hanno esitato a mettersi a rischio per tentare di salvare vite messe in grave pericolo dalle politiche di abbandono in mare che continuano ad essere il principale strumento di deterrenza per dimostrare impossibili successi nel contrasto degli sbarchi, se non delle partenze da Paesi terzi con i quali si concludono da anni accordi infami.

Con loro vogliamo ricordare anche tutti quei pescatori che in passato sono stati sottoposti a processi penali dopo avere adempiuto l’obbligo primario di salvare vite in mare. Ed anche quando sono stati assolti, hanno pagato duramente per i loro atti di solidarietà vedendo distrutte le imbarcazioni che erano state sottoposte a sequestro e perdendo gli strumenti essenziali per poter proseguire quel lavoro che permetteva loro di sostentare la propria famiglia.

Oggi capita che molti pescatori fingano di non vedere imbarcazioni cariche di uomini, donne, bambini in fuga dalla Libia, dalla Tunisia e dall’Algeria, mentre nel Mediterraneo orientale, dalla Turchia e dal Libano, arrivano imbarcazioni più grandi che possono essere soccorse soltanto da navi attrezzate per accogliere a bordo un numero sempre più elevato di persone. Manca nel Mediterraneo centrale un’attività di coordinamento per il soccorso in mare, e nei confronti dei pochi pescatori che ancora oggi avvisano della presenza di barche in difficoltà e di tutti gli altri natanti impegnati nella pesca, incombe la minaccia delle incursioni della sedicente Guardia costiera libica – sostenuta dall’Italia – che è arrivata persino ad aprire il fuoco su pescherecci italiani.

Il Premio Dino Frisullo 2023 viene poi attribuito anche a Mimmo Lucano, dopo la condanna durissima a oltre tredici anni di detenzione che gli ha inflitto il Tribunale di Locri, mentre a Reggio Calabria è in corso il processo di appello che volge ormai alle ultime fasi. Anche Mimmo Lucano ha salvato, fino a quando ha potuto, vite a terra, sottraendole a quel destino di esclusione, di sfruttamento e di morte che non è stato risparmiato a tanti che richiedevano soltanto protezione.

Insieme a lui vogliamo ricordare Becky Moses, costretta a rifugiarsi nella piana di Rosarno, a San Ferdinando, dentro una capanna poi divorata dal fuoco, dopo essere stata costretta ad abbandonare Riace nel gennaio del 2018 a seguito di un diniego espresso da una Commissione territoriale sulla sua domanda di protezione. Erano anni in cui si cominciava a sperimentare la trasformazione dell’accoglienza in detenzione, se non in spinta verso la clandestinità di tutte quelle persone che venivano ritenute non meritevoli di protezione. Nel ricordarla, ribadiamo il nostro impegno e la nostra determinazione nel voler contrastare la disumanità che oggi è diventata cardine dei provvedimenti legislativi.

Come chi si è prodigato per prestare soccorsi negati in mare, Mimmo Lucano a terra ha resistito alla negazione dell’accoglienza da parte della burocrazia e dei politici di governo. Non ha messo sulla strada coloro che avevano trovato accoglienza a Riace e che il Viminale voleva rigettare per strada perché “lungo-residenti”. Ed è stato perseguito proprio per avere mantenuto in vita il modello di accoglienza diffusa che aveva rivitalizzato un intero territorio, anche dopo che dal Ministero dell’Interno e dai governi che si succedevano nel tempo, veniva negata alle persone ancora in accoglienza per richiesta di protezione qualunque possibilità di integrazione lavorativa e di inserimento sociale.

Il premio Dino Frisullo che si attribuisce quest’anno, dopo nuovi provvedimenti di legge che cancellano il diritto al soccorso ed alla protezione, va dunque a “pescatori di vite”, e segna un punto di impegno comune, con una visione che si deve estendere al futuro, per tutti coloro che si ritrovano nella memoria di Dino e che hanno condiviso con lui un tratto del suo cammino a fianco degli ultimi della terra. Per restare ancora oggi, e domani, al loro fianco.

Associazione Senzaconfine

Roma, 20 giugno 2023

 

 

fonte: https://comune-info.net/dino-frisullo-militante-anomalo/