Donne, uomini e caporali

La risposta di massa (ben duecentomila partecipanti) del 16 ottobre all’assalto fascista e squadrista che si era consumato una settimana prima contro la sede nazionale della CGIL è uno spartiacque che potrebbe aprire come ha detto lo stesso Maurizio Landini – una fase nuova del protagonismo sindacale e della democrazia. A mio parere, una delle condizioni dovrebbe essere quella di coinvolgere ampiamente anche lavoratrici e lavoratori immigrate/i, la cui presenza e visibilità non sono state evidenti neppure nel corso dell’immensa manifestazione del 16 ottobre.

Sindacalizzare, rendere partecipi e protagoniste, anche ai massimi livelli, le persone immigrate e quelle rifugiate potrebbe contribuire a sottrarle alla condizione attuale, spesso estrema. Per dire solo dell’ambito lavorativo, a loro spettano – com’è ben noto – lavori perlopiù flessibili, informali, precari, sottopagati, deregolati, nonché di basso riconoscimento sociale, pur essendo indispensabili all’economia italiana.

Si pensi, in particolare, al caporalato in agricoltura e alle pessime condizioni di lavoro e alloggio cui sono costrette/i le/i braccianti immigrate/i, fra loro perfino dei richiedenti-asilo. Fra le vittime del caporalato non sono rare quelle con un alto livello d’istruzione e di coscienza di classe.

Si pensi a Jerry Essan Masslo, ucciso il 20 settembre 1989 da una banda di giovani rapina­tori razzisti. Colto e politicamente impegnato, pri­vo di asilo (allora esso poteva essere concesso solo a chi provenisse da Paesi dell’Europa dell’Est), egli era stato costretto, per sopravvivere, a lavorare in condizioni quasi-schiavili alla raccolta di pomodori nelle campagne di Villa Literno.

A un tale assassinio seguì il primo sciopero di migranti contro il capora­lato e – com’è risaputo – una manifestazione nazionale che vide la partecipazione di più di duecentomila persone una singolare analogia con l’oggi – e inaugurò il movimento antirazzista italiano.

La tendenza al disconoscimento della popolazione immi­grata come parte costitutiva della società italiana e del mondo del lavoro da lungo tempo continua a connotare l’atteggiamento delle istituzioni, della società, dell’opinione pubblica e perfino nei fatti di taluni soggetti politici di sinistra. Inoltre, perfino fra coloro che si richiamano a una politica “di classe” v’è chi ignora – volutamente o non – che la classe operaia comprende un gran numero di lavoratrici e lavoratori di origine immigrata, incluse/i economicamente ma esclu­se/i da diritti civili e politici, nonché da molti diritti sociali.

È indubbio che a contribuire decisamente a emarginare le persone immigrate e rifugiate siano anzitutto le sempre più scellerate, punitive e discriminatorie leggi sull’immigrazione.

A tal proposito, la nozione di razzismo isti­tuzionale − elaborata in ambienti afro-americani (Carmichael e Hamilton, 1968) − suggerisce che la discriminazione, l’ine­guaglianza strutturale, l’esposizione al razzismo, ma anche allo sfruttamento estremo, di persone immigrate e rifugiate, nonché di alcune minoranze, non è solo il frutto di pregiudizi, xeno­fobia, ripulsa da parte degli “autoctoni”, ma è in primis l’esito di leggi, norme, procedure e pratiche routinarie, messe in atto dalle istituzioni.

E quanto a quello che viene detto hate speech (“discorso di odio”), spesso identificandolo col razzismo tout court, basta dire che in Italia le ingiurie e le dichiarazioni razziste, profuse quotidianamente da mezzi d’in­formazione, da politici e altri personaggi pubblici, perfino da alte cariche dello Stato, solitamente non danno luogo ad alcun affaire, al contrario che in altri Paesi dell’Unione europea.

V’è anche chi rimuove o comunque sottovaluta il fatto che il Mediterraneo sia ormai divenuto un vasto cimitero ac­quatico e che il Canale di Sicilia abbia guadagnato il sinistro primato di confine più letale al mondo.  A tutto ciò un contributo rilevante è dato dall’Unione Europea: sulla scia di Michel Fou­cault (2009), potremmo definire tanatopolitica l’operato di buona parte delle sue istituzioni e dei suoi stessi Stati-membri.

Per tornare all’immensa manifestazione del 16 ottobre scorso e alla scarsa presenza e visibilità – anche negli interventi dal palco – di persone immigrate o rifugiate, forse sarebbe stato efficace se a qualcuna/o dei partecipanti fosse venuta l’idea di esibire una bandiera o uno striscione recante l’immagine di Damian Florin. Chi è o chi era costui? – vi chiederete. Era un cit­tadino romeno, residente a Pinerolo, ex-dipendente di un’im­portante azienda trentina di autotrasporti, ch’egli accusava pubblicamente d’averlo sottoposto a orari intollerabili, a discriminazioni, a mobbing, infine al licenziamento.

Perciò egli aveva intrapreso una lunga azione di protesta davanti al Parlamento eu­ropeo e alla Corte europea di Strasburgo, al Consolato e all’Am­basciata romeni; e si era appellato direttamente al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. E fu lì, nella piazza antistante il Quirinale, che il 18 ottobre 2012 compì un atto di protesta estremo, peraltro preannunciato: si fece torcia umana, avvolto da una bandiera della CGIL. Fu soccorso e ricoverato in ospedale in condizioni assai gravi, ma il suo gesto, pur così drammatico, ebbe scarsa rilevanza pubblica e politica.

Il suo non era il primo caso di auto-immolazione da parte di una persona immigrata. Il 16 marzo 2011, a tentare il suicidio alla stessa ma­niera, tanto terribile quanto pubblica − in una piazza di Vittoria, in provincia di Ragusa – era stato il bracciante agricolo Georg Semir, cittadino albanese di 33 anni, sposato e padre di due bambini: lavorava in condizioni del tutto servili e non riceveva il salario da svariati mesi. Fu prontamente soccorso e ricoverato in prognosi riservata. Anche nel suo caso, l’atto disperato di protesta ebbe una risonanza assai debole.

Aprire una fase nuova del protagonismo sindacale, per citare ancora Landini, tra le tante condizioni implica, a mio parere, anche quella di sindacalizzare, valorizzare, conferire dignità ai lavoratori e lavoratrici immigrati/e, in particolare a quelli/e ridotti/e in condizioni di plebe super-sfruttata, umiliata, disprezzata, perfino de-umanizzata.   

Foucault M., 2009 (1997), Bisogna difendere la società (a cura di M. Bertani e A. Fontana), Feltrinelli, Milano.

Carmichael S., Hamilton C.V., 1968 (1967), Strategia del potere nero, Laterza, Bari.

 

 

fonte: https://comune-info.net/donne-uomini-e-caporali/